SOCRATE: Entra pure, caro Evandro.
EVANDRO: Eccomi, Socrate. Ti ringrazio di avermi ricevuto.
SOCRATE: È un piacere, caro. Vieni e siediti qui, di fronte a me. Hai fame? O vuoi bere qualcosa?
EVANDRO: No, Socrate, sto bene così.
SOCRATE: D’accordo, caro. Tuo padre mi parlò di te e mi disse che studi la matematica, nella scuola che fu di Ippocrate e che adesso è di Delio. È così?
EVANDRO: È così. Studio con Delio da due anni. La matematica, in verità, non è l’unica materia cui mi dedico. Ne studio anche altre, tanto che mio padre ne fa oggetto di scherzo e dice che voglio diventare un sofista come Ippia, che è polimata e pretende di avere la meglio in qualunque materia. Tale opinione di me hanno anche alcuni compagni della scuola, che mormorano che non sono un vero matematico, a causa delle altre materie che cerco di conoscere, come qualcuno mi ha riferito essendo informato dei loro colloqui. Ma la matematica è la scienza che più mi appassiona e cui dedico la parte maggiore del mio tempo, studiando i problemi della geometria e del numero.
SOCRATE: Mirabili problemi sono questi, o Evandro. E ti curi, amico mio, dell’opinione che hanno di te tuo padre e i tuoi compagni, che tu non sia un vero matematico? Ne soffri?
EVANDRO: Per nulla, Socrate. Ti prego, non credere che sia venuto qui per tormentarti con qualche piagnisteo, approfittando della tua ospitalità, o per indossare le vesti del giovane incompreso ed estorcerti parole di incoraggiamento. La mia indole, semmai, è di avere una certa indifferenza per l’opinione che di me hanno gli altri. Se ti accennavo a questa relazione, fra la matematica e le altre materie che studio, è solo perché mi porta verso il progetto di cui volevo parlarti, che non riguarda me bensì la città, come credo che mio padre ti abbia anticipato. Il progetto è difficile e mi occorrerà un po’ di tempo per spiegartelo.
SOCRATE: Non temere, caro Evandro. Parla liberamente e prenditi il tempo che ti sarà necessario. Già ardo dalla voglia di ascoltarti. Tuo padre mi avvertì che sarei stato felice di incontrarti. Due cose mi disse. La prima è che eri un giovane di aspetto incantevole, e vedo che in questo non mi mentiva.
EVANDRO: Ti ringrazio, Socrate.
SOCRATE: Non rabbuiarti, caro.
EVANDRO: Non mi rabbuio, Socrate.
SOCRATE: Non offenderti di questa osservazione, sul tuo aspetto, che non solo è bello e incantevole, ma è quasi divino, se mi permetti di dirlo. Come occorre fare il bene, che per sua natura reclama da noi di essere fatto, così occorre lodare il bello, che per sua natura reclama la nostra ammirazione.
EVANDRO: D’accordo, Socrate.
SOCRATE: E non pensare neanche, mio Evandro, che volessi sviare la nostra conversazione dai temi importanti di cui vuoi parlarmi. Ti dico subito, infatti, che la seconda cosa che seppi da tuo padre è che desideravi ricevere un parere da me su un progetto nuovo e meritevole di attenzione, con cui vuoi aiutare il Consiglio o l’Assemblea a decidere con saggezza sui problemi della città, e che vuoi proporre ad altre persone opportune in Atene, oltre che a me.
EVANDRO: È così, Socrate.
SOCRATE: Parla dunque, ed esponi in cosa consiste questo progetto. Sei sicuro che non vuoi bere nulla?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Allora procedi, caro.
EVANDRO: È un progetto cui penso da tempo, Socrate. È collegato a ciò che ti stavo dicendo, dei rapporti fra la matematica e le altre materie. Come tu sai, molti filosofi affermano che tutto è numero, e ne adducono a dimostrazione il fatto che scopriamo proporzioni esatte in ogni cosa, se solo ci prendiamo la cura di esaminare la cosa in questione negli effetti che produce e nella sua forma. Perciò, secondo costoro, la matematica permette di scoprire qualsiasi genere di verità.
SOCRATE: Tu ne dubiti, o mio Evandro?
EVANDRO: Niente affatto, Socrate. Ti dirò che il mio amore per la matematica si accese fin da bambino, quando mi insegnarono che i suoni delle corde variano in ragione della loro lunghezza. Questo fatto mirabile svela che le cose che all’apparenza non sembrano matematiche, come i suoni dello strumento musicale, i quali hanno un certo effetto sulla nostra anima, che è dolce o aspro, o di rallegrarci invece che rattristarci, tutti effetti che a prima vista non sembrano riguardare i rapporti e le quantità, ma il sentimento, ecco, tali cose che non sembrano matematiche invece lo sono. E questo perché lo strumento produce i suoi effetti sulla nostra anima in ragione del numero, e cioè delle proporzioni che il musicista vi imprime. Mi restò una memoria vivissima di questa scoperta, che mi sembrò meravigliosa, e ancora adesso la giudico tale, ed è da essa che venne ogni studio e ricerca che feci in seguito. Mi sorse infatti il desiderio di scoprire le altre cose che, non essendo matematiche nelle loro apparenze, si rivelano invece governate dal numero una volta che si applichi loro il nostro discernimento.
SOCRATE: Magnifico desiderio è questo, mio caro.
EVANDRO: E un’altra cosa ho pensato, Socrate, della matematica. Ed è che essa produce in chi la coltiva, e si applica a usarla per comprendere la vera natura delle cose, un modo di ragionare che è diverso da quello degli uomini comuni, anche saggi e virtuosi per altri aspetti, ma che non sono stati istruiti in questa scienza. La matematica induce infatti nell’uomo una certa lodevole disposizione a definire le questioni con rigore e con amore completo della verità. E mi sono convinto che questa disposizione sia vantaggiosa anche nelle materie politiche di cui deve occuparsi un cittadino.
SOCRATE: O caro Evandro, parli benissimo.
EVANDRO: Ti confesso, Socrate, che quanto più studio la matematica, tanto più mi infastidisce vedere i cittadini, e a volte anche gli uomini più eminenti di Atene, e non escludo da questo discorso il mio stesso padre, del quale come immagini sento continuamente le opinioni, discutere in modo disordinato delle questioni politiche, senza intelligenza alcuna delle quantità e delle proporzioni con cui ogni effetto si produce.
SOCRATE: Aspetta! Forse ho capito qual è il tuo progetto, caro. Vuoi che tutti i cittadini studino la matematica, perché imparino a esaminare le questioni filosoficamente, e sviluppino così la lodevole disposizione dell’anima a usare esattezza e amare la verità, di cui parlavi?
EVANDRO: No, Socrate! Non mi illudo di cambiare la testa degli uomini o di farli studiare la matematica, o se è per questo qualunque altra scienza, se non iniziarono a farlo fin da bambini. Un punto in realtà non mi è chiaro, ed è se la confusione e la fretta con cui i cittadini giudicano delle questioni consegua a un’insufficienza di educazione, che non è stata impartita loro nei giusti modi, o a un difetto di natura che li inibisce. Perché se la confusione e la fretta conseguono all’insufficienza dell’educazione possiamo rimediarvi insegnando ai giovani le scienze che producono il retto giudizio, così che quando assumono le cariche pubbliche, avendo raggiunto l’età che lo permette, diano alla città un buon governo. Se invece conseguono a un difetto di natura, questi uomini non impareranno mai a distogliersi dalle apparenze, e dagli altri pensieri fallaci che imbrogliano le loro teste, neppure se impiegassimo i maestri migliori per insegnare loro tutte le scienze utili.
SOCRATE: Fai bene, Evandro, a interrogarti su questo. Vuoi sapere che ne penso? Di come credo che l’anima apprenda le verità, e dei mezzi che abbiamo per aiutare i cittadini a ragionare con saggezza?
EVANDRO: Certo, Socrate, ti ascolterò volentieri. Ma prima assumiamo questo: che, senza interrogarci subito sul motivo per cui accada, se per mancanza di istruzione, o per qualche difetto naturale, o per altra ragione, fino a quando non avremo attuato le riforme necessarie ci sarà, in ogni questione politica, una certa proporzione fra i cittadini che ragionano rettamente e quelli che non ragionano rettamente. Sei d’accordo?
SOCRATE: Dici sempre la stessa proporzione, in ogni questione di cui si discuta? O maggiore o minore secondo la questione? Così che capiti per esempio che su una questione difficile pochi cittadini ragionino rettamente, e su una questione facile siano invece di più?
EVANDRO: Una proporzione che varia secondo le questioni, Socrate. Sentiamoci liberi di immaginare che la proporzione cambi secondo la difficoltà della questione, o secondo le informazioni che occorrono ai cittadini per giudicare rettamente, e di cui alcuni di essi possono mancare, o secondo ogni altra circostanza che li influenzi, come la rabbia, la paura o altre emozioni che possono invadere la città quando è in guerra o minacciata da pericoli gravi. Accetti che, quando si discute una questione, i cittadini si divideranno, in una certa proporzione, fra coloro che sanno rettamente giudicare di essa e quelli che invece non sanno farlo?
SOCRATE: Dipende, caro Evandro. Se me lo chiedi per scopo di ragionamento, come è pratica tua e degli altri matematici, di fare assunzioni sugli angoli, o le lunghezze, o i movimenti delle figure, per dimostrare mirabilmente che allora queste figure possiedono di necessità certe altre caratteristiche, bene, accetto volentieri la tua assunzione riguardo al giudizio dei cittadini. E accetterò senza discutere ogni altra assunzione tu voglia proporre, per scoprire dove mi vuoi portare, come fossimo in campagna e mi volessi guidare lungo un sentiero a te noto, per mostrarmi al suo termine un luogo ameno per sostare. Perché è proprio del ragionamento di trasferirci per così dire da un posto a un altro.
EVANDRO: Certo, Socrate. È per scopo di ragionamento che te lo chiedo.
SOCRATE: Però, mio caro Evandro, poco fa mi dicesti che volevi discutere con me un progetto importante per la città. Mi domando se in questo caso siamo liberi di assumere questo e quello secondo il nostro estro, per il diletto del viaggio che faremo, o non occorra invece che stabiliamo innanzi tutto i fatti sulla materia che ci riguarda, basando il nostro ragionamento su di essi. Infatti, se partiamo da assunzioni che non abbiamo verificato bene, può capitare di giungere a conclusioni che, per quanto logiche, non riflettono lo stato effettivo della città, e potrebbero risultare dannose se ce ne servissimo nelle decisioni pubbliche. Perciò, mio caro Evandro, spiegami a cosa serve questa assunzione che mi proponi, sui cittadini che giudicano rettamente e i cittadini che non lo fanno. Devo chiedermi se è vera? O devo invece concedertela amichevolmente, perché tu ne tragga qualche ragionamento matematico?
EVANDRO: Ne voglio trarre un ragionamento matematico, Socrate, non c’è dubbio. Ma credo anche che sia vera, e se ne trovino esempi continui nelle vicende della città. Ti ricordi l’ultimo agone comico, che si svolse alle feste dionisie, quello che vinse Amipsìa, con la sua commedia sui gozzovigliatori?
SOCRATE: Me lo ricordo sicuramente, mio caro.
EVANDRO: Ricorderai anche, Socrate, che molti spettatori preferivano alla commedia di Amipsìa quella sugli uccelli, che era scritta da Aristofane. Infatti la giuria, che in queste feste vuole compiacere gli spettatori, e cerca di capire il favore che emerge nel teatro durante le rappresentazioni, per non subire poi le contestazioni dei molti se va contro il loro parere, si divise fra le due commedie quasi equamente. Tralascio i pochi spettatori che preferivano il terzo partecipante, per facilitare il nostro ragionamento.
SOCRATE: Tralasciamoli pure, caro.
EVANDRO: Avendoli tralasciati, non possiamo dire che su tale questione, se fosse migliore la commedia di Amipsìa o quella di Aristofane, gli spettatori si divisero secondo una certa proporzione? Alcuni per Amipsìa e gli altri per Aristofane? Ma con una maggioranza per Amipsìa, come espressa nel voto della giuria?
SOCRATE: Diciamolo senz’altro.
EVANDRO: E quale delle due commedie era a tuo parere la migliore, Socrate, quella di Amipsìa o quella di Aristofane?
SOCRATE: Nessuna delle due, caro Evandro. Fui infatti fra i pochi che preferivano il terzo partecipante.
EVANDRO: D’accordo, Socrate.
SOCRATE: A quanto pare abbiamo fatto un errore, caro Evandro, a tralasciare alcuni cittadini per facilitare il nostro ragionamento. Perché, vedi, avendoli noi esclusi, ora non possono rispondere alle tue domande.
EVANDRO: Va bene, Socrate. Ma il motivo per cui ti facevo questa domanda è che, fra coloro che più conoscono il teatro, e vanno sia alle commedie sia alle tragedie, e hanno ricevuto un’educazione adatta, e per questi motivi sanno valutare gli aspetti che fanno un’opera teatrale buona o cattiva, quali l’arte dell’autore nel disporre gli eventi, o la forza dei sentimenti e dei pensieri rappresentati, bene, ricorderai che fra questi conoscitori del teatro dominava l’opinione che la commedia di Aristofane fosse superiore. Forse nessuno di loro gli preferiva quella di Amipsìa. Dicevano di quest’ultimo che tentava di sedurre il pubblico poco istruito, che affolla il teatro in occasione delle feste, con una comicità vile, e che né i personaggi, né le vicende erano nuovi. Infatti il pubblico poco istruito preferisce le poche cose che già conosce, e che non hanno bisogno di sforzo di comprensione, alle cose nuove che richiedono all’anima un certo movimento delle parti per essere percepite. Dicevano inoltre questi conoscitori che le opere di Aristofane, anche se oggi trovano meno favore di quelle di Amipsìa, saranno riportate in scena nei prossimi anni, per via della loro sottigliezza e di come espongono i mali della città, pur rimanendo dilettevoli. Mentre la gloria di Amipsìa si esaurirà. Con questo, Socrate, ti prego, non dico che la commedia di Aristofane fosse superiore. Dico solo che è del tutto concepibile che una commedia sia superiore a un’altra e ciò nonostante sia sconfitta nel giudizio popolare. Non trovi, Socrate?
SOCRATE: Non ancora, mio caro. Forse è per colpa degli uccelli di Aristofane che nominavi, ma mentre parlavi pensavo che procedi nel ragionare come la tortora quando costruisce un nido, e cerca i rami e le pagliuzze più adatti a dare al nido la forma che desidera. Allo stesso modo, prendi le opinioni di questi conoscitori del teatro, che ascoltasti in occasione delle feste, e le disponi per dare al tuo ragionamento la forma che vuoi. Non rabbuiarti di nuovo, caro Evandro.
EVANDRO: No, Socrate.
SOCRATE: Il nido della tortora è poco resistente, e la madre l’abbandona presto dietro di sé, perché i piccoli si involano subito. Se vogliamo che il nostro ragionamento sia solido, e sia fatto per così dire di colonne e pietre, invece che di rami e pagliuzze, dobbiamo chiarire questo aspetto, se sia davvero concepibile che una commedia sia superiore a un’altra, e in base a cosa. Come sai, meraviglioso Evandro, che l’opinione dei conoscitori del teatro, riguardo alle commedie di Amipsìa ed Aristofane, è vera, e non frutto invece di qualche errore?
EVANDRO: E quale errore, Socrate?
SOCRATE: Prendiamo un albero, caro Evandro. In che consiste la sua bellezza?
EVANDRO: Non so, Socrate, dimmelo tu stesso.
SOCRATE: Direi che consiste nella sua altezza, nella dimensione del fusto, nella composizione dei rami, e nel colore, nel numero, nella disposizione e nella forma delle foglie, che sono gli aspetti dell’albero che vediamo e che possono variare quanto a perfezione, se non ne dimentico nessuno.
EVANDRO: D’accordo.
SOCRATE: E la bellezza di un toro, invece?
EVANDRO: Non saprei, Socrate.
SOCRATE: La bellezza di un toro consiste nella sua grandezza, nelle proporzioni degli arti, della testa e degli altri elementi del corpo. E credo anche nella fierezza che l’animale manifesta, nella sua andatura armoniosa, nella lunghezza, nello spessore e nella lucentezza del pelo.
EVANDRO: D’accordo, Socrate.
SOCRATE: Ora, puoi tu paragonare queste cose, e dire di un albero che è più bello di un toro? O di un toro che è più bello di un albero? Rispondimi, caro Evandro.
EVANDRO: Credo di no, Socrate. Queste cose appartengono a specie diverse.
SOCRATE: Perciò non le possiamo paragonare, né per la bellezza né per altre loro virtù.
EVANDRO: No, Socrate.
SOCRATE: Perché se amiamo le foglie di un albero, quale aspetto troveremo in un toro, analogo alle foglie, per fare il paragone?
EVANDRO: Nessuno, è chiaro.
SOCRATE: Forse le corna?
EVANDRO: No, Socrate.
SOCRATE: E se ci piace l’andatura di un toro, qual sarà il suo analogo nell’albero, che per sua natura è radicato nella terra?
EVANDRO: Nessuno, Socrate.
SOCRATE: Bene, amico mio. Se dico allora che voglio acquistare un certo albero, e tu vuoi acquistare un certo toro, possiamo dire che io ho retto giudizio e tu no, caro Evandro?
EVANDRO: Non possiamo, Socrate.
SOCRATE: O tu un retto giudizio mentre io ne manco?
EVANDRO: Neanche, Socrate.
SOCRATE: Mi mancherebbe il retto giudizio se acquistassi un brutto albero, come mancherebbe a te se acquistassi un brutto toro. Ma se le nostre scelte sono perfette, ciascuna nella sua specie, io acquistando un albero che è un bell’albero, e tu un toro che è un bel toro, abbiamo entrambi retto giudizio, non credi?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Sembra quindi che la diversità delle nostre scelte possa dipendere, invece che dal giudizio, retto o non retto, dalla diversità delle specie che giudichiamo.
EVANDRO: Può essere, Socrate.
SOCRATE: E non può anche essere, caro Evandro, che Amipsìa e Aristofane siano un caso dello stesso genere? Che Amipsìa per così dire sia un albero e Aristofane un toro?
EVANDRO: Vedo dove vuoi arrivare, Socrate.
SOCRATE: I tuoi amici, conoscitori del teatro, sarebbero sicuramente più esatti di me nel descrivere le specie di Amipsìa e Aristofane. La prima è quella della comicità vile, rubandoti le parole di poco fa. La seconda è quella del sarcasmo sui costumi degli uomini fatto allo scopo di migliorarli, che è quanto Aristofane dice delle sue commedie, quando gli succede di difenderle da chi se ne lamenta.
EVANDRO: Lo so, Socrate.
SOCRATE: Ma, carissimo Evandro, facciamo che Amipsìa sia un albero ed Aristofane un toro. Possiamo dire che gli spettatori dell’agone che preferirono l’albero al toro mancarono di retto giudizio? Non può essere invece che tutti avessero retto giudizio, ritenendo gli uni che Amipsìa fosse un bell’albero, e gli altri che Aristofane fosse un bel toro, e si trovassero in contrasto solo a ragione delle specie diverse che amavano?
EVANDRO: Può essere, Socrate.
SOCRATE: Allora temo di non poterti concedere ciò che chiedevi, caro Evandro, che nelle questioni politiche, o negli agoni, che è l’esempio che hai portato, i cittadini si dividano di necessità fra coloro che hanno retto giudizio e coloro che non ce l’hanno. Infatti, i cittadini possono dividersi a causa delle specie eterogenee di oggetti o scopi che li muovono, e non a causa del giudizio retto o non retto.
EVANDRO: Lo vedo, Socrate.
SOCRATE: Però, se insisti che te lo conceda ugualmente, lo farò, per amore di te e pur di vedere il luogo dove mi vuoi condurre con il ragionamento matematico. Lo faccio purché ci ricordiamo che le conclusioni che ne trarremo potrebbero essere errate e dannose per la città, perché non fondate sulla vera natura delle cose.
EVANDRO: Socrate, allora concedimelo. Sbagliai io, poco fa, a tentare di convincerti che la mia assunzione fosse vera. Scelsi l’esempio del teatro perché trovavo evidente che Aristofane fosse un commediografo migliore di Amipsìa, ed ero convinto che tu, come tutti gli uomini educati, avessi lo stesso giudizio. Così avremmo approvato subito questa materia preliminare, per passare poi a discutere ciò che è importante. Ma se così non è, preferisco che non usiamo il nostro tempo per parlare di teatro. Proverò a ragionare in modo del tutto matematico, senza curarmi per ora della verità delle assunzioni. Acconsento che, non avendo noi sicurezza della loro verità, non avremo sicurezza della verità delle conclusioni. E mi impegno a dire tali assunzioni nel modo più elementare, e a introdurne il minore numero possibile, così che alla fine ci sarà facile tornare su di esse, per chiederci se siano vere, come credo che siano, anche se potranno occorrere ragionamenti ulteriori per dimostrarlo, e decidere cosa fare del mio progetto.
SOCRATE: Benissimo, amico mio.
EVANDRO: Posso dunque procedere in questo modo, Socrate?
SOCRATE: Puoi, caro Evandro. Sono con te.
EVANDRO: Allora la mia prima assunzione è che, in ogni questione politica, alcuni cittadini avranno retto giudizio e altri cittadini non l’avranno.
SOCRATE: Bene.
EVANDRO: E la seconda è che, in una questione, può capitare che i cittadini con cattivo giudizio siano più numerosi dei cittadini con retto giudizio, così che i primi vincano il voto.
SOCRATE: Che è il caso che dicevi di Amipsìa, che vinse il favore popolare, pur essendo la sua commedia inferiore a quella di Aristofane.
EVANDRO: Infatti. La terza assunzione che faccio è che la vittoria dei cittadini con cattivo giudizio reca danno alla città. E, anche se non voglio tradire subito il metodo che ci siamo dati, sono convinto che questa assunzione sia sicura. Infatti, rimanendo nel caso del teatro, non è forse un male che in un agone la commedia peggiore vinca, e quella migliore perda?
SOCRATE: Perché, caro Evandro?
EVANDRO: Perché la sconfitta sarà dolorosa all’autore della commedia migliore e lo scoraggerà dallo scrivere opere nuove. I coregi lo fuggiranno, perché la sconfitta avrà rovinato la sua reputazione, e chiederanno ai suoi rivali, invece che a lui, di scrivere le commedie per gli agoni, privandolo dei mezzi per vivere. E anche se l’autore riuscisse a scrivere altre opere, superando questi ostacoli, la paura di nuove sconfitte lo spronerà a inseguire il gusto del pubblico numeroso, che è il peggiore, o lo è nelle assunzioni che stiamo facendo. Vedi dunque, Socrate, che la produzione dell’autore sconfitto ne sarà diminuita, o secondo la quantità o secondo la qualità. Secondo la quantità, quando si spegnesse il suo entusiasmo per scrivere, o perdesse la stima dei coregi, che è necessaria per rappresentare le sue commedie. Secondo la qualità, quando l’autore si conformasse al gusto del pubblico peggiore. E il male è questo, Socrate, che a causa della vittoria della commedia peggiore la città avrà un numero maggiore di opere simili alla vincitrice, e un numero minore di opere simili alla perdente, che era la migliore. Sei d’accordo, Socrate?
SOCRATE: Mirabile amico, non lo so.
EVANDRO: Perché, Socrate?
SOCRATE: Pensa, caro Evandro, a ciò che alcuni dicono, che tutte le commedie sono dannose, al pari delle tragedie e ogni genere di falsa rappresentazione, perché infiammano gli spettatori di emozioni vane. E facendoli appassionare di cose che non sono, queste messe in scena distraggono gli spettatori dalle passioni utili, che sono quelle per le cose che sono. Conosci queste opinioni, mio Evandro?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Ora, se ascoltiamo questi avversatori del teatro, quali commedie accenderanno in uno spettatore le passioni più vive, quelle migliori o quelle peggiori? Dimmi, Evandro.
EVANDRO: Suppongo le migliori, Socrate, ma solo fra gli spettatori capaci di apprezzare queste commedie.
SOCRATE: E non sono essi, caro Evandro, come mi dicevi, i cittadini più educati?
EVANDRO: Lo sono, Socrate.
SOCRATE: E quali cittadini sono più utili alla città, e più meritevoli della nostra cura, perché eseguano i loro doveri, invece di consumarsi in emozioni vane, quelli educati o quelli non educati?
EVANDRO: Quelli educati, Socrate, è chiaro.
SOCRATE: E ragionando in questo modo, cosa conviene di più alla città? Che ci siano molte commedie eccellenti, che guastano i cittadini più utili, o poche, così che i guasti siano minori?
EVANDRO: Ho capito, Socrate. Feci male a tradire ancora il metodo che ci eravamo dati.
SOCRATE: Lo proponesti tu, carissimo Evandro.
EVANDRO: Lo so, Socrate. Lasciami indietreggiare.
SOCRATE: Come preferisci, amico mio.
EVANDRO: Torno sul sentiero su cui intendevo camminare. Accetti tu come semplice assunzione, a vantaggio del nostro ragionamento, che la vittoria dei cittadini con cattivo giudizio rechi danno alla città?
SOCRATE: Lo accetto, mio caro. Reca danno. Procediamo.
EVANDRO: Bene, abbiamo allora queste assunzioni. La prima, che alcuni cittadini hanno retto giudizio e altri ne mancano. La seconda, che i cittadini che ne mancano possono superare gli altri nel numero. La terza, che la vittoria nel voto dei cittadini che ne mancano è dannosa. Ne segue, per necessità di ragionamento, che è un bene per la città che siano i cittadini con retto giudizio a vincere il voto, e non quelli che ne mancano. Ne convieni, Socrate?
SOCRATE: Ne convengo, Evandro.
EVANDRO: E quando i cittadini con retto giudizio sono in minoranza, come può capitare a ragione della seconda assunzione che abbiamo detto, non è sempre un bene per la città che questi cittadini vincano il voto? O dobbiamo dire che se il retto giudizio è in minoranza, è bene per la città che vinca e governi il cattivo giudizio?
SOCRATE: No, Evandro. Violeremmo la terza assunzione.
EVANDRO: Infatti, Socrate. Ecco perché ti faccio visita oggi. Voglio descriverti una legge di voto, che ho progettato secondo regole matematiche, che facilita i cittadini che hanno retto giudizio a vincere, anche se sono in minoranza.
SOCRATE: Vincere il voto, Evandro?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Anche se sono in minoranza?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Con un conto dei voti fedele? O mendace?
EVANDRO: Fedele, Socrate.
SOCRATE: In un voto a maggioranza?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Con voto uguale, per tutti i cittadini?
EVANDRO: Sì, Socrate, con voto uguale per tutti i cittadini, come è oggi in Atene.
SOCRATE: O mio Evandro! Hai una legge dove i cittadini sono uguali nel voto, e votano a maggioranza, e ciò nonostante vince la minoranza, quando è bene per la città, e senza abbassarsi all’inganno? Così dici?
EVANDRO: Così, Socrate.
SOCRATE: Sei davvero divino, Evandro! Il tuo aspetto meraviglioso è solo l’inizio di te. Perché ci vuole un dio, credo, per riuscire in questo, che la minoranza vinca un voto a maggioranza!
EVANDRO: No, Socrate, non occorre un dio.
SOCRATE: Mio meraviglioso amico, non tenermi più in sospeso! Dimmi questa legge di voto che hai progettato.
EVANDRO: Sì, Socrate. Ho osservato in più occasioni che chi conosce bene una materia, ed è esperto di essa, è anche consapevole di come le sue convinzioni su tale materia si oppongano a quelle che ne hanno gli altri. Al contrario, chi conosce una materia superficialmente, crede che le verità che la riguardano siano ovvie e approvate da tutti. Ci riflettei dopo l’agone di cui parlammo, perché i sostenitori della commedia di Amipsìa, e proprio quelli che più animatamente deponevano a suo favore, erano meravigliati che altri spettatori le preferissero la commedia di Aristofane. Questi ultimi, invece, che a mio parere conoscevano l’arte teatrale, ed erano veri esperti di essa, anche se non ti chiedo di essere d’accordo con me su questo punto, costoro, dicevo, erano consapevoli fin dall’inizio che altri spettatori avrebbero amato la commedia di Amipsìa, perché adatta al loro gusto. Uno di questi conoscitori mi disse, “Evandro, se a me piace la commedia degli uccelli, è sicuro che non piace a nessuno”, intendendo significare che era uso a trovarsi in guerra con le convinzioni dei più. Infatti la giuria premiò la commedia di Amipsìa, dei gozzovigliatori, come costui aveva predetto. Mi segui, Socrate?
SOCRATE: Sì, benissimo, Evandro.
EVANDRO: C’è dunque un’associazione, Socrate, fra il conoscere una materia e il conoscere le convinzioni che su questa materia hanno gli altri, e similmente fra il conoscere la materia superficialmente e l’ignorare le convinzioni altrui. Ho osservato questa associazione anche nelle questioni politiche. Coloro che amano la città, e si appassionano perciò a tali questioni, si recano nelle piazze e nelle case dove sono discusse. In questi luoghi, non solo formano le loro convinzioni, ma apprendono anche quelle che corrono per così dire nella città. Anche se queste convinzioni sono difformi dalle loro, questi cittadini ne intendono l’origine, riconoscendola in questo o quell’aspetto della questione che hanno dibattuto, e sanno valutare se tali convinzioni siano forti o deboli nella città. Sono questi i cittadini che giudicano rettamente di una questione, secondo le assunzioni che abbiamo enunciato. Coloro invece che disprezzano le questioni politiche, per ignoranza o perché amano le loro occupazioni più di quanto amino la città, sono appagati delle loro convinzioni superficiali. Non si recano nelle piazze se non per votare. Nelle case, si danno alle bevute, e mai alle discussioni. Così non vengono ad apprendere le convinzioni degli altri, e non sanno quanto siano diffuse. Questi cittadini sono privi di retto giudizio. Perché sospiri, Socrate?
SOCRATE: Perché mi illudi, mio Evandro, annunciandomi l’arrivo della legge. Credo invece che ora dovremo esaminare questa associazione, se sia vera o no.
EVANDRO: No, Socrate, ti prego, la legge sta arrivando. Ubbidiamo di nuovo al nostro metodo. Concedimi di assumere tale associazione. Sarà la quarta assunzione, e l’ultima. L’assunzione è che l’avere un retto giudizio di una questione si associ al sapere quali convinzioni gli altri abbiano su di essa, e se tali convinzioni siano forti o deboli nella città, e similmente che il cattivo giudizio di una questione si associ all’ignorare le convinzioni che corrono in città su di essa. Me la concedi, Socrate?
SOCRATE: Tutto ti concedo, mio Evandro.
EVANDRO: E, ora, se domandassimo ai cittadini di predire il risultato del voto su una questione, chi è più facile che riesca, i cittadini che hanno un retto giudizio della questione, o quelli che ne hanno un cattivo giudizio?
SOCRATE: I primi, caro Evandro, avendo assunto che sappiano meglio dei secondi quali convinzioni siano forti o deboli nella città.
EVANDRO: Proprio così, Socrate. Ed ecco infine la legge di voto che ti annunciavo.
SOCRATE: Davvero, Evandro?
EVANDRO: Sì, Socrate. In ogni voto ci saranno due vasi. Uno è il vaso consueto, dove i cittadini depositano i sassolini, bianchi o neri secondo il voto. L’altro vaso, che è nuovo, serve a predire il risultato del primo. I cittadini vi depositano un secondo sassolino, bianco se credono che il bianco vinca nel voto principale, nero nel caso contrario. Il primo avrà nome di vaso del voto, perché i cittadini votano il merito della questione, e il secondo di vaso della predizione, perché i cittadini tentano di divinare il risultato nel primo vaso.
SOCRATE: Sono entrambi i voti segreti?
EVANDRO. Entrambi, Socrate. Un cittadino può depositare il nero nel vaso del voto, se è questa la decisione che preferisce, e depositare il bianco nel vaso della predizione, se crede che vincerà la decisione che è opposta alla sua. In un voto popolare dell’agone comico, il mio amico, che sapeva di essere in minoranza, avrebbe depositato nel vaso del voto un nero per la commedia di Aristofane, che era per lui la migliore, e nel vaso della predizione un bianco per la commedia di Amipsìa, di cui divinava la vittoria, fossero stati questi i colori esposti per le due commedie. È chiaro fin qui, Socrate?
SOCRATE: Chiarissimo, amico mio. Si tengono contemporaneamente questi due voti, Evandro, o uno dopo l’altro?
EVANDRO: Contemporaneamente, Socrate. I due vasi sono uno a fianco all’altro, e ben distinti nell’aspetto, perché nessuno abbia a confonderli fra loro. Potremmo farli di forme diverse, o pagare un artista per decorarli. La figura di un ulivo potrebbe ornare il vaso del voto, perché l’ulivo è caro ad Atena, e simboleggia la saggezza e l’amore per la città. La figura di un noce, invece, potrebbe ornare il vaso della predizione, perché Caria, che ebbe il dono della profezia, fu mutata in questa pianta.
SOCRATE: Hai pensato a tutto, mio mirabile Evandro!
EVANDRO: Lo spero, Socrate! Ora, il cittadino che vota si presenta ai vasi e depone i sassolini nell’uno e nell’altro. È importante, per le ragioni matematiche che ti dirò, che i cittadini votino in entrambi i vasi, e non rifiutino per esempio di votare la predizione. Così, quando i vasi sono infranti, per il conteggio, conterranno un numero uguale di voti, e non uno di più e l’altro di meno.
SOCRATE: Bene, Evandro, e poi?
EVANDRO: Poi si infrange il vaso del voto e si conta. Immagina che ci siano cinquantacinque voti, diciamo per Amipsìa, e quarantacinque per Aristofane, per prolungare il caso dell’agone, che abbiamo discusso, e non doverne concepire un altro che ci condannerebbe a ripartire dall’inizio. Scelgo questi numeri perché il totale sia cento, e calcolare più velocemente, ma la legge che ti sto dicendo ammette un numero qualsiasi di votanti.
SOCRATE: È chiaro, Evandro.
EVANDRO: Per il momento, dunque, Amipsìa vince.
SOCRATE: Come nel vero agone.
EVANDRO: Sì, Socrate. Ma ora si infrange il vaso della predizione. Tre sono i casi che possono accadere. Il primo è che Aristofane vinca il conteggio di questo vaso, perché la maggioranza dei cittadini credeva che lui vincesse. La legge stabilisce che il vincitore dell’agone sarà allora Aristofane, e non più Amipsìa.
SOCRATE: Perché questo, Evandro? Non è il primo il vaso del voto? Quello in cui i cittadini dichiarano il loro giudizio su cosa è meglio per la città?
EVANDRO: Te lo dirò presto, Socrate, ma ti prego di aspettare. Sarà più facile spiegartelo dopo che ti ho detto i due casi che restano. Per ora, stabiliamo questo, che quando il vaso della predizione contraddice il vaso del voto, il vaso della predizione vince. Questa è la prima regola della legge. Ti sto descrivendo, Socrate, una sorta di gioco, simile a quelli che si fanno con le tavole e i dadi. Ognuno di questi giochi, come sappiamo, ha varie regole, che si devono apprendere quando ci si inizia ad essi. Una regola isolata sembra arbitraria, ma si armonizza però con le altre nel gioco, così che operino insieme e diano al gioco un certo ordine, che fa vincere colui che è più abile. Nella legge di voto che ti sto dicendo, le regole devono armonizzarsi fra loro per fare vincere la decisione migliore per la città.
SOCRATE: Ho capito, mio meraviglioso Evandro. Dimmi allora, quali sono gli altri casi e le regole che li governano?
EVANDRO: Il secondo è che Amipsìa vinca anche il vaso della predizione, dopo avere vinto quello del voto, ma i voti per Amipsìa nel vaso della predizione siano al massimo uguali a quelli nel primo vaso. Se Amipsìa ebbe cinquantacinque sassolini nel vaso del voto, come dicevamo, questo è il caso in cui Amipsìa ha almeno cinquanta sassolini nel vaso della predizione, e la vince, o quanto meno pareggia Aristofane, ma non ne ha più di cinquantacinque. Se è così, Amipsìa vince l’agone. Perciò la seconda regola della legge è questa: se il vaso della predizione conferma il vaso del voto, il vaso del voto vince, purché i voti nel vaso della predizione dati al vincitore non superino in numero quelli che ha nel primo vaso. E stabiliamo che lo conferma anche se il vaso della predizione pareggia.
SOCRATE: Bene, Evandro. E il terzo caso sarà quello in cui Amipsìa vince anche il vaso della predizione, ma con più di cinquantacinque voti. Scusami se ti anticipo, ma ti seguo meglio nel ragionamento se vi partecipo con la mia stessa mente.
EVANDRO: Fai benissimo, Socrate. Interrompimi quando lo desideri.
SOCRATE: Il terzo caso, dunque, è quello che ti ho detto, caro Evandro?
EVANDRO: Sì, Socrate, è quello in cui il vincitore del vaso del voto vinca anche la predizione, ma con più voti che nel primo vaso. Immagina che Amipsìa abbia settanta voti nel vaso della predizione, mentre ne aveva solo cinquantacinque in quello del voto. Chi avrà deposto nel vaso della predizione i quindici voti in più? Saranno, di necessità, cittadini che votarono Aristofane nel vaso del voto ma predissero la vittoria di Amipsìa. Costoro, secondo le assunzioni che abbiamo detto, sanno quali convinzioni siano forti o deboli nella città, perché hanno un retto giudizio della questione. Sono, questi cittadini, simili al mio amico, che pur preferendo la commedia di Aristofane, predisse la verità, cioè che avrebbe vinto Amipsìa.
SOCRATE: Capisco, Evandro. Ma, sto pensando, non potrebbero essere cittadini che, avendo votato Aristofane nel vaso del voto, abbiano poi predetto la vittoria di Amipsìa per scongiuro? Così fanno i marinai, che augurano gli uni agli altri il naufragio, o di imbattersi nei mostri, non per odio, ma perché credono che nominare il male lo allontani dai loro amici. Anche i giocatori, a volte, annunciano il risultato avverso quando lanciano i dadi, sperando così di impedire che accada. Un cittadino che vota per Aristofane potrebbe perciò predire la vittoria di Amipsìa per propiziarne la sconfitta, e non perché sa che il favore per Amipsìa in città è forte.
EVANDRO: Aspetta ancora, Socrate. Ti risponderò fra poco.
SOCRATE: Hai pensato anche a questo, nel tuo gioco, mirabile Evandro?
EVANDRO: Credo di sì, Socrate.
SOCRATE: Qual è allora la regola, quando il vincitore del primo vaso ha più voti nel vaso della predizione di quanti ne ha nel primo?
EVANDRO: La regola è che aggiungiamo l’eccesso di voti ai voti del perdente del primo vaso, e che vince colui che ha più voti in questo vaso dopo l’aggiunta.
SOCRATE: Come dici, Evandro?
EVANDRO: Dico che se i voti del perdente nel primo vaso, uniti all’eccesso di voti del vincitore che vengono dal vaso della predizione, superano per numero i voti del vincitore nel primo vaso, allora il perdente vince. Nel primo vaso, Amipsìa ha cinquantacinque voti, ed Aristofane quarantacinque. Ma, dicevamo, Amipsìa ha settanta voti nel vaso della predizione. La differenza, che è quindici, si trasferisce ad Aristofane nel conteggio del primo vaso. Così i voti per Aristofane diventano sessanta, che è la somma di quarantacinque e quindici. E Aristofane vince, perché sessanta supera cinquantacinque di Amipsìa.
SOCRATE: Ho capito, Evandro. A questo ti serve il vaso della predizione, a svelare chi aveva previsto la vittoria della preferenza opposta alla sua.
EVANDRO: Esattamente, Socrate.
SOCRATE: Di costoro, Evandro, dici che hanno retto giudizio, deducendolo dal fatto che conoscevano la preferenza degli altri cittadini, dimostrando in questo modo di essere istruiti della questione e delle convinzioni della città.
EVANDRO: Proprio così, Socrate.
SOCRATE: E avendoli svelati, aggiungi il loro numero al vaso del voto, anche se vi avevano già votato. Così raddoppi i loro voti, è vero?
EVANDRO: È vero, Socrate.
SOCRATE: Questo a ragione del retto giudizio che hanno dimostrato.
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Ma, carissimo Evandro, raddoppiando i loro voti, non contraddici quanto mi avevi promesso, che il voto era uguale per tutti i cittadini?
EVANDRO: No, Socrate. Il voto è uno a testa, o meglio due a testa. Ogni cittadino ha due sassolini da depositare nei vasi. Il voto è uguale. Nessun cittadino ha privilegio sugli altri, perché tutti possono procurarsi questo bene, di raddoppiare il voto, secondo le regole, cioè se prevedono il vincitore.
SOCRATE: Ci sono altre regole, Evandro?
EVANDRO: No, Socrate. Fammi dire qual è il merito di questa regola, anche se credo che tu l’abbia capito. Il merito è che la città prenderà più spesso una decisione saggia di quanto accada oggi con il voto abituale. Ciò perché i cittadini che, nel voto, dimostrano di conoscere meglio la questione, contano il doppio degli altri. Nell’esempio, Amipsìa vincerebbe il voto abituale, a ragione dei cinquantacinque voti, nonostante la sua commedia sia peggiore, come abbiamo assunto.
SOCRATE: Non sono sicuro che l’abbiamo assunto, caro Evandro.
EVANDRO: D’accordo, Socrate, ma assumiamolo. Con la mia legge, al contrario, vince Aristofane, perché il vaso della predizione svela quindici cittadini che sono veri conoscitori del teatro, e preferiscono Aristofane ad Amipsìa. E, dicevamo, non è meglio per la città che vincano le scelte fondate sulla conoscenza e sulla ragione, anche quando siano in minoranza, se sono in minoranza per causa dell’ignoranza degli altri cittadini?
SOCRATE: Lo dicevamo, Evandro.
EVANDRO: Inoltre, Socrate, questa regola è mite, perché non disprezza troppo il vaso del voto. Se calcolassimo altri casi, vedremmo che il vaso della predizione può ribaltare il vaso del voto solo se la differenza fra i due vasi è grande. Se nel vaso della predizione Amipsìa avesse ricevuto sessantaquattro voti, avendone cinquantacinque nel primo vaso, Aristofane avrebbe ricevuto solo nove voti aggiuntivi. Dopo che li avessimo sommati ai quarantacinque che aveva, sarebbe arrivato a cinquantaquattro e avrebbe perso.
SOCRATE: Certamente, Evandro.
EVANDRO: Perciò occorrono molti cittadini saggi, che hanno votato contro la maggioranza nel primo vaso, perché il risultato cambi.
SOCRATE: Lo vedo, Evandro.
EVANDRO: Potrei inoltre dimostrarti matematicamente che se Amipsìa vince il vaso del voto con più dei due terzi dei voti, è impossibile che il vaso della predizione lo ribalti. Questo perché Aristofane avrebbe meno di un terzo dei voti nel primo vaso. Così, l’eccesso di voti per Amipsìa nel vaso della predizione non sarebbe mai numeroso abbastanza da riparare lo svantaggio di Aristofane. Cosa significa questo?
SOCRATE: Cosa, mio Evandro?
EVANDRO: Che la regola ribalta il risultato del primo vaso solo quando la maggioranza in questo vaso è debole, ed esattamente siede fra la metà e i due terzi dei votanti. La debolezza della maggioranza è un segno che la materia è incerta. È bene che in questo caso, e solo in questo, la regola si affidi a coloro che provano di conoscere meglio la questione.
SOCRATE: Capisco, amico mio.
EVANDRO: Questa, a mio parere, è la bellezza principale della regola, di ribaltare il giudizio della maggioranza solo quando conviene, e di rispettarlo quando la maggioranza converga largamente su una preferenza. E ciò accade armoniosamente per effetto della natura matematica della regola.
SOCRATE: Davvero matematica è tale regola, Evandro. Dirò a Delio che ha educato un allievo straordinario!
EVANDRO: Ti ringrazio, Socrate. Poiché parli di gioco, ti dirò quale risposta dò a mio padre e altri, cui ho descritto questa legge, e che la disapprovano, protestando che è difficile e che nessuno in città vorrà fare i calcoli necessari. La risposta è che molti giochi con le tavole e i dadi hanno regole più difficili, ed esigono a volte sforzi della memoria. Eppure sappiamo che non solo gli uomini, ma anche le donne, gli schiavi e i bottegai le imparano e si infervorano nel gioco. Anzi, sembra che i giocatori provino un piacere maggiore quanto più numerosi sono i casi e le sorprese che il gioco presenta, a causa delle complicazioni delle regole. Ecco, Socrate, se le donne, gli schiavi e i bottegai, e anche i bambini, imparano questi giochi, non possono i cittadini imparare questa legge?
SOCRATE: Può darsi, carissimo. Dimmi però, qual è la ragione della prima regola, quella che il vaso del voto perde quando il vaso della predizione lo contraddice?
EVANDRO: Il motivo è questo, Socrate. Come dicevi, può capitare che un cittadino predica il risultato opposto al suo voto per scongiuro. Oppure che un demone cattivo lo spinga a farlo per il piacere velenoso di credere che gli altri cittadini voteranno male. Oppure il cittadino potrebbe ragionare che, votando in modo opposto nei due vasi, è certo di dirsi vincitore, nel voto se la città vota come lui, nella predizione se la città vota l’opposto. Ciò perché è parte del predire, mi pare, una certa consolazione nel vedere la predizione realizzata, anche se è nefasta. Può darsi insomma che, per l’uno o l’altro di questi motivi, il cittadino voti nel vaso della predizione in modo frivolo.
SOCRATE: Vedo, mio Evandro.
EVANDRO: E un altro ancora, Socrate, è il pericolo della predizione. Un cittadino che vota Amipsìa nel primo vaso potrebbe calcolare che non gli conviene predirne la vittoria, a causa della terza regola della legge. Infatti, se le predizioni per Amipsìa superassero in numero i voti nel primo vaso, l’eccesso di predizioni si muterebbe in voti per Aristofane. Il cittadino, per favorire Amipsìa, potrebbe allora scegliere di predire la vittoria di Aristofane. La prima regola gli impedisce di farlo. Perché? Perché se lui ed altri cittadini predicessero la vittoria di Aristofane per questo motivo, Aristofane potrebbe vincere il vaso della predizione, e tutto il voto. La ragione della prima regola è dunque questa, che impedisce ai cittadini di votare nel vaso della predizione con frivolezza, o per favorire il loro campione, e impone ad essi, invece, di votare in questo vaso secondo il loro vero giudizio riguardo a quale convinzione prevalga nella città.
SOCRATE: Caro Evandro, abbi la pazienza di ripetermi la ragione.
EVANDRO: Certo, Socrate. Immaginiamo che tu voti Amipsìa e sia convinto che la maggioranza voterà Amipsìa. Ti conviene predire la sua vittoria, conformemente alla tua convinzione, perché predire per frivolezza o altri motivi la vittoria di Aristofane rischierebbe di farlo vincere, a causa della prima regola. Ciò è chiaro?
SOCRATE: Lo è, caro Evandro.
EVANDRO: Il caso contrario è che tu voti Aristofane e sia convinto che la maggioranza voterà Amipsìa. Di nuovo, ti conviene predire che vinca Amipsìa, ubbidendo alla tua convinzione, perché il tuo voto sarà allora quello dei saggi, che predicono il parere della maggioranza in opposizione al loro stesso voto. Così, per la terza regola, la tua predizione per Amipsìa potrebbe sommarsi ai voti per Aristofane, che prediligi. È chiaro anche questo?
SOCRATE: Sì, amico mio.
EVANDRO: Vedi allora che, non importa se preferisci Amipsìa o Aristofane, ti conviene ubbidire alla tua convinzione riguardo al parere della maggioranza. Se credi che vincerà Amipsìa ti conviene predire la sua vittoria. Ugualmente, e di necessità, ti conviene predire la vittoria di Aristofane, se credi che sia lui a vincere. Ecco perché la composizione delle regole obbliga i cittadini a predire il vincitore secondo la verità del loro giudizio, e con la stessa serietà con cui votano nel primo vaso.
SOCRATE: Ora ho capito, mio Evandro.
EVANDRO: E il cittadino avrà motivo non solo di essere serio, ma anche di informarsi delle opinioni altrui, per non avere a danneggiare il suo campione fallendo la predizione. La legge, perciò, spinge il cittadino a discutere con gli altri delle questioni politiche, e così a conoscere meglio la città, e ad apprendere, dalla bocca degli altri cittadini, gli aspetti di tali questioni che prima non aveva esaminato. Questo è un altro beneficio della mia legge.
SOCRATE: Aspetta, Evandro. La prima regola non potrebbe però offendere i votanti, quando una maggioranza soperchiante nel voto fosse ribaltata da una maggioranza risicata nella predizione? Per esempio, Amipsìa vince il voto novanta a dieci, e Aristofane vince la predizione cinquantuno a quarantanove. Secondo la tua legge, Aristofane vince l’agone e riceve la corona d’edera. Accetteranno i cittadini questa scena? O grideranno contro Aristofane, come fosse un ladro che ruba la corona di Amipsìa?
EVANDRO: Forse griderebbero, Socrate, agli inizi del vigore della legge, perché insolita. Ma si abituerebbero ad essa con la sua applicazione, come i giocatori, che si educano a un gioco praticandolo. Alla fine i giocatori vengono a reputare sacre le regole del gioco, perché vi sono avvezzi, nonostante queste regole siano stabilite dagli uomini, e vedono un empio in chi cerca di violarle. Così sarebbe anche di questa legge. Trascorso il tempo che occorre dalla sua introduzione, i cittadini griderebbero semmai contro Amipsìa se, in forza del primo vaso, volesse dichiararsi vincitore, disprezzando le regole che lo obbligano ad attendere il secondo.
SOCRATE: Sto ancora pensando al caso che ho detto, caro Evandro. Quanti sono, in esso, i saggi? Quelli che la tua legge vuole svelare, perché predicono l’opposto del loro voto? Sono i dieci che votano Aristofane e poi predicono la vittoria di Amipsìa, come faceva il tuo amico. Chi sono invece i cinquantuno che, ne vaso della predizione, predicono erroneamente la vittoria di Aristofane? È questo uno sbaglio, caro Evandro, da deridere, perché Aristofane ha solo dieci sostenitori! Chi sono dunque questi cinquantuno?
EVANDRO: Cittadini che hanno sbagliato la predizione, Socrate.
SOCRATE: Carissimo Evandro, non abbiamo assunto che ci sia un’associazione fra il giudicare rettamente di una questione e il sapere quali convinzioni ne hanno gli altri cittadini? E similmente fra il cattivo giudizio e l’ignorare queste convinzioni?
EVANDRO: Sì, Socrate, lo abbiamo assunto.
SOCRATE: E allora, secondo tale assunzione, questi cinquantuno che non sanno che la città preferisce Amipsìa, avranno un retto o un cattivo giudizio del teatro?
EVANDRO: Cattivo, Socrate.
SOCRATE: Perciò, secondo la tua legge, Aristofane vince il voto perché cinquantuno cittadini che non giudicano rettamente il teatro, e non conoscono le convinzioni della città su questa materia, ne predissero la vittoria. È vero, Evandro?
EVANDRO: È vero, Socrate.
SOCRATE: Cosa risponderesti a chi se ne offendesse e dicesse, “Evandro, tu volevi portare la saggezza in Atene, e invece fai decidere il voto agli stolti”?
EVANDRO: Gli risponderei che questi stolti votarono per Amipsìa. Se la loro stoltezza toglie merito al vaso della predizione, lo toglie anche al vaso del voto.
SOCRATE: Mio Evandro, cancelliamo allora i cinquantuno stolti dal vaso del voto. Restano ad Amipsìa trentanove voti, che superano i dieci di Aristofane. Il tuo nemico dirà, “Qual è la giustizia del far vincere Aristofane, se perde il vaso del voto, e il vaso della predizione è deciso dagli stolti?”.
EVANDRO: Gli risponderei che la giustizia sta nel punire gli stolti, che votano Amipsìa, ma portano la sconfitta al loro campione predicendo erroneamente la vittoria di Aristofane. È giusto, infatti, che gli stolti soffrano per il loro errore. Così, al voto successivo si informeranno delle convinzioni che corrono nella città, per non nuocere di nuovo al loro campione con predizioni errate. E che si informino è un bene per la città e uno scopo della legge. Questo gli risponderei, Socrate.
SOCRATE: E i trentanove che, non essendo stolti, votano Amipsìa?
EVANDRO: Dovranno adirarsi con gli stolti, Socrate.
SOCRATE: Ho pensato a un altro caso, Evandro. Aiutami, ti prego, a stabilire se è di imbarazzo alla tua legge.
EVANDRO: Dimmelo, Socrate.
SOCRATE: Immagina che, nel vaso del voto, i voti per Amipsìa siano cinquantacinque e quelli per Aristofane quarantacinque. Però, nella città, quasi tutti credono che vincerà Aristofane. Ciò perché i sostenitori di Amipsìa temono di dire che lo preferiscono, sapendo che la sua comicità è vile. I sostenitori di Aristofane, invece, lo esaltano in ogni casa, per svelare così la loro educazione, che glielo fa preferire. Essendo rara nella città la voce dei sostenitori di Amipsìa, e loquace quella dei sostenitori di Aristofane, quasi tutti, dicevo, credono che la maggioranza dei cittadini preferisca quest’ultimo. Così Aristofane vince novanta a dieci il vaso della predizione, contraddicendo il vaso del voto. Perciò Aristofane vince l’agone. D’accordo, Evandro?
EVANDRO: D’accordo, Socrate.
SOCRATE: Evandro, ritieni che Amipsìa perda l’agone perché i suoi sostenitori sono stolti? O perché sono timidi nel dire le loro convinzioni, così che il resto della città, e loro stessi gli uni rispetto agli altri, ignorano che queste convinzioni sono maggioritarie?
EVANDRO: Perché sono timidi, Socrate. Ma non è di imbarazzo alla legge. È giusto che la commedia di Amipsìa sia sconfitta, se muove alla vergogna chi la preferisce. Vincono coloro che, pur essendo la minoranza, hanno un’educazione e possono vantarsene. Anche in questo caso, dunque, la legge è benefica, perché punisce una timidezza che viene dal sapere che le proprie convinzioni sono difettose.
SOCRATE: Bene, Evandro. È tutto? O ci sono altri casi da esaminare?
EVANDRO: È tutto, Socrate.
SOCRATE: Lascia allora che ripeta la legge, per rafforzarla nella mia mente, e perché tu corregga i miei errori, dove non l’avessi capita bene.
EVANDRO: D’accordo, Socrate.
SOCRATE: Ci sono due vasi, uno del voto e uno della predizione. Il primo con la figura dell’ulivo, in cui il cittadino vota la commedia migliore, se parliamo di teatro, ma può essere qualunque altra decisione della città. Il secondo con la figura del noce, in cui il cittadino vota la commedia che secondo lui vincerà nel primo vaso.
EVANDRO: È così, Socrate.
SOCRATE: Se i risultati dei due vasi si oppongono, vince quello della predizione. Questa regola obbliga i cittadini a informarsi sulle questioni della città, e a votare seriamente nel vaso della predizione, invece che frivolmente. E vogliamo che vinca il vaso della predizione perché, se si oppone all’altro vaso, significa che la maggioranza è stolta o si vergogna delle sue convinzioni, come nel caso che abbiamo appena esaminato.
EVANDRO: Esattamente, Socrate.
SOCRATE: Se i risultati dei due vasi concordano, e quindi una commedia vince entrambi i vasi, guardiamo quanti voti ottiene nel vaso della predizione. Se questi voti sono meno numerosi, o ugualmente numerosi, di quanti ne ottiene nel primo vaso, allora la commedia vince l’agone. Il poeta riceve subito la corona. Se invece i voti per la commedia nel vaso della predizione sono più numerosi, questo eccesso è aggiunto ai voti della commedia perdente nel primo vaso. Se la somma, dei voti che aveva ricevuto e dell’eccesso, supera i voti della commedia che aveva vinto, allora la commedia perdente vince. La ragione è che coloro che predicono veracemente la sconfitta della commedia per cui votano si dimostrano i veri conoscitori della questione. E la regola, per così dire, li fa votare una seconda volta, perché hanno retto giudizio. Il voto del primo vaso è ribaltato solo se l’eccesso è grande, e se la maggioranza nel primo vaso non è soperchiante, oltre i due terzi, dicevi. Abbiamo così che i conoscitori decideranno il voto solo nelle materie incerte, dove la città è divisa, e in cui è bene che si affidi a loro.
EVANDRO: Proprio così, Socrate.
SOCRATE: E i vantaggi di questa legge, sono due, Evandro. Uno, che è più facile che vinca la decisione migliore, a causa del potere dato a coloro che hanno retto giudizio della questione. Due, che i cittadini vorranno discutere le questioni politiche, e conoscere le convinzioni degli altri, per non vedere i propri campioni ribaltati dal vaso della noce, così che la città nel suo insieme sarà più informata e saggia.
EVANDRO: Benissimo, Socrate, non potresti dire meglio.
SOCRATE: E infine, se qualcuno protestasse che la legge è strana e complicata, risponderai che è strana perché è nuova, e che non è più complicata dei giochi con le tavolette che apprendono anche i bambini. I giocatori capiscono con la pratica che le regole che all’inizio sembravano arbitrarie si compongono in un certo modo armonioso. Queste regole obbligano i giocatori non solo a calcolare le loro mosse, ma anche le mosse con cui l’avversario potrebbe replicare. Similmente, la legge obbliga i cittadini a ragionare sia della questione sia delle convinzioni che ne hanno gli altri. E, come i bei giochi ci fanno scoprire i giocatori migliori, così la tua legge ci fa scoprire i cittadini con retto giudizio, avendo noi assunto che i cittadini si dividono fra quelli che hanno retto giudizio e quelli che non ce l’hanno.
EVANDRO: Infatti, Socrate. Infatti.
SOCRATE: Mirabile Evandro, mi visiti per sapere cosa penso di questa legge? Se mi piace, e per ricevere critiche amichevoli per migliorarla? O cos’altro?
EVANDRO: Ti visito, Socrate, perché desidero che il Consiglio adotti questa legge. Sono felice di ascoltare le tue critiche, se la legge è imperfetta in qualche sua parte. Ma se credi, come credo, che sia già compiuta, e utile, voglio che mi aiuti a presentarla alla città, parlandone in Assemblea, dove io non sono ammesso, e ai cittadini influenti che possano portarla al Consiglio. Poiché questa legge è migliore della regola maggioritaria che è oggi in uso, propongo che si voti con i due vasi in Assemblea, nel Consiglio stesso o in qualunque altra sede politica.
SOCRATE: Evandro mio, ti ammiro. Ammiro anche la legge che hai concepito. È veramente matematica e armoniosa nelle sue parti. Hai concepito qualcosa di nuovo, che è lodevole nei giovani. È assai più comune che i giovani concepiscano idee vecchie, come i marinai inesperti, che si credono arditi perché arrischiano una piccola variazione della rotta, che a loro sembra nuova, ma invece è nota e fuori dall’uso, perché fu trovata svantaggiosa. Tu invece prendi il largo, Evandro. Sei coraggioso. O è coraggioso Delio, se è lui a spingerti sulle rotte sconosciute.
EVANDRO: Ti ringrazio, Socrate. Ma se questo è l’elogio che prepara la critica, non curarti dei miei sentimenti e abbrevialo. Dei giovani si dice anche che si offendono subito, ed eccedono nell’amor proprio, ma io non sono di tale specie. Preferisco semmai sapere subito le cattive notizie.
SOCRATE: Non avere fretta, Evandro, e lascia che stabilisca le mie premesse. Così facesti a tua volta all’inizio della nostra conversazione, quando mi dicesti cosa amavi nella matematica, che non era in sé necessario per presentarmi la legge, ma mi preparava al cammino che dovevamo fare. Ti ho ascoltato, in quelle premesse, e poi nelle assunzioni, e in tutte le regole della legge, non è vero?
EVANDRO: Sì.
SOCRATE: Dunque sii paziente anche tu, mio Evandro, e concedimi di parlare a modo mio. Cosa dicono gli altri, quando esponi loro la tua legge, oltre che è complicata?
EVANDRO: Non ne sembrano convinti, in verità.
SOCRATE: E come, Evandro?
EVANDRO: Credo, Socrate, che preferiscano che si continui a votare come ora, perché meno pericoloso per loro. Se il voto è deciso dai mezzi pensieri e dalle opinioni momentanee, invece che dal retto giudizio sulle questioni, è più facile ai cittadini influenti spingere la città nella direzione che desiderano.
SOCRATE: Può essere, caro Evandro. E può essere anche che dispaccia loro che si paragoni il voto, che in Atene è importante, e ci distingue dalle altre città, a un gioco? E che tu dica che è simile a quelli che giocano anche le donne e gli schiavi?
EVANDRO: Anche il voto a maggioranza è un gioco, Socrate, ma più rozzo. È come il gioco della fune, in cui i contadini corrono a un capo o l’altro della fune senza un ordine, e vince il capo che riunisce il numero maggiore di braccia. La mia legge è un gioco più accorto, che è vinto da chi conosce la questione, e non dal maggior numero di cittadini.
SOCRATE: Rispondi bene, Evandro. Esaminiamo dunque se i benefici della legge sono reali. Inizio dal secondo, quello che la tua legge porterebbe i cittadini a informarsi delle questioni politiche.
EVANDRO: D’accordo, Socrate.
SOCRATE: Dimmi, Evandro, è facile smuovere gli uomini dalle loro convinzioni su tali questioni, o anche sul teatro e le altre materie su cui prendono una posizione? O inclinano gli uomini, dopo aver preso questa posizione, a mantenerla, e a resistere a coloro che, avendo la posizione opposta, vogliono indurli a cambiarla? Per esempio, è facile che, se un uomo preferisce Amipsìa, un altro lo convinca a preferire Aristofane? O è difficile?
EVANDRO: È difficile, Socrate. Proprio per questo la mia legge accresce il potere di chi ha retto giudizio, così che possa ribaltare il voto della maggioranza, invece di provare vanamente a smuoverla dalla sua posizione.
SOCRATE: Bene, Evandro. Riguardo invece al credere che una certa convinzione sia forte o debole in città, e cioè appoggiata da molti o da pochi, sono gli uomini altrettanto fermi? O sono più pronti a mutare parere, davanti a un fatto?
EVANDRO: Più pronti, Socrate, ma solo se informati. Perché altrimenti, come dicevo, immaginano che la loro convinzione prevalga nella città, perché la ritengono ragionevole, e faticano a credere che altri abbiano convinzioni opposte.
SOCRATE: D’accordo, Evandro. La differenza, sembra, è che è più facile informare gli uomini, presentando loro un fatto che possono vedere, che agire sulle loro convinzioni. Porteremo un uomo in una casa dove si discute una materia, e lì scoprirà che tutti pensano in modo opposto a lui. Uscirà offeso da questa casa, e ancora certo di avere ragione, ma non potrà più credere che tutti abbiano l’uguale convinzione che ha lui. Non è vero, Evandro?
EVANDRO: Non c’è dubbio, Socrate.
SOCRATE: E oltre che in una casa, lo porteremo in una piazza e in altri luoghi dove si discutano le questioni, così che apprenda quali convinzioni prevalgano. Per quanto credesse all’inizio che la sua convinzione dominava nella città, arriverà a sapere che è vero il contrario, anche se gli è odioso, come un viaggiatore che, vedendo le nuvole nere avvicinarsi dall’occidente, deve concludere che pioverà.
EVANDRO: Certo, Socrate.
SOCRATE: Quindi, mio Evandro, i cittadini sono più pronti a cambiare parere sulle convinzioni diffuse in città, ma meno pronti a cambiare le loro convinzioni.
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Prendiamo ora il caso, caro Evandro, che in una certa questione sessanta cittadini abbiano una preferenza e quaranta cittadini la preferenza opposta. Lasciamo in pace Amipsìa ed Aristofane, questa volta. Immagina invece che si debba decidere il mio ostracismo. Si applica anche all’ostracismo, la tua legge?
EVANDRO: Sicuramente, Socrate.
SOCRATE: Sessanta cittadini, dunque, si oppongono a darmi l’ostracismo. Quaranta, invece, lo vogliono. Questi quaranta sanno di essere in minoranza, perché frequentano le case e sono informati di ciò che gli ateniesi pensano di me. Questa minoranza, però, vuole allontanarmi dalla città. Non ne può di vedermi in giro ad ammonire gli uomini e tenere discorsi per la strada. La tua legge è in vigore. Come possono, costoro, ostracizzarmi? Il primo modo è provare a cambiare le convinzioni dei sessanta, sperando di persuadere almeno undici di loro che merito l’ostracismo, per diventare maggioranza e vincere il vaso del voto. È così, Evandro?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Il secondo modo è spargere la notizia, che è vera, o per lo meno lo è nel caso che stiamo immaginando, che la maggioranza degli ateniesi rifiuta di ostracizzarmi. I quaranta si recheranno a dirlo in tutte le case e le piazze di Atene, così che ogni cittadino lo sappia. La loro mira è che tutti votino la mia salvezza nel vaso della predizione, diciamo novanta a dieci, così che l’eccesso di predizioni rispetto ai voti del primo vaso, che sono sessanta, si sommi ai quaranta che vogliono ostracizzarmi. L’eccesso è trenta. I quaranta diventano settanta e vincono. Sei d’accordo, caro Evandro, che ci sarebbero questi due modi?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: E quale dei modi avrà più speranza di riuscire, sapendo noi che è più difficile cambiare le convinzioni degli uomini, e più facile informarli delle convinzioni che prevalgono in città? Il primo o il secondo modo, Evandro?
EVANDRO: Il secondo, Socrate.
SOCRATE: E i quaranta che mi detestano, dunque, cosa faranno? Andranno nelle case per convincere i cittadini delle mie colpe, che è difficile, o andranno nelle case per informarli che Atene è a mio favore, che è facile, e fedele ai fatti?
EVANDRO: Per informarli che Atene è tuo favore, Socrate, di necessità, dato come hai costruito il caso.
SOCRATE: Potrebbe dunque capitare, Evandro, se la tua legge fosse in vigore, che i cittadini si dicano che non vale la pena di discutere il merito delle questioni. Finché c’è solo il vaso del voto, come oggi, la minoranza deve parlare agli altri cittadini di cosa è meglio e peggio per la città, sperando di mutare il loro animo. Con la tua legge, invece, la minoranza spargerebbe in città la notizia di quale convinzione prevalga, per avvantaggiarsi del vaso della predizione. Perciò ad Atene i cittadini parlerebbero di quali siano le convinzioni popolari, invece che delle questioni da decidere.
EVANDRO: Capisco questa obiezione, Socrate. Ma ti sembra che oggi, con il voto a maggioranza, si assista in Atene a grandi dibattiti delle questioni politiche? Sembra a me che la maggioranza dei cittadini si incontri per bere e parlare dei traffici e dei giochi ginnici. Se la mia legge li portasse a discutere di quali convinzioni prevalgono in città, sarebbe un progresso.
SOCRATE: So cosa faccio io, Evandro, quando incontro qualcuno, che è di obbligarlo a discutere cosa è giusto e cosa è sbagliato, e cosa è vero e cosa è falso, e cosa sappiamo e cosa non sappiamo. Già li infastidisco abbastanza. Se la tua legge mi rendesse inutile, caro Evandro, chi mi ascolterebbe più?
EVANDRO: Ora scherzi, Socrate.
SOCRATE: Sì e no, Evandro. Ma passiamo al primo beneficio, quello che la legge porterebbe i cittadini a decidere con più saggezza. Immagina che gli ateniesi con retto giudizio siano quelli che rifiutano di ostracizzarmi, perché davvero sono utile alla città. Perdermi sarebbe una disgrazia. Immaginalo per bontà.
EVANDRO: Non mi è faticoso, Socrate.
SOCRATE: I quaranta invece hanno cattivo giudizio, perché non mi conoscono bene, o non concepiscono che i filosofi migliorano la città. Vuoi immaginarlo, Evandro?
EVANDRO: Non solo lo immagino ma lo credo totalmente, Socrate.
SOCRATE: Immagina anche, che essendo la tua legge in vigore da anni, e i cittadini avendo preso l’uso di informarsi di quali siano le convinzioni prevalenti, ed essendo forse anche nato il mestiere di chi va nelle case o nelle piazze a interrogare i cittadini sulle loro preferenze, e ne diffonde poi il numero, tutti gli ateniesi conoscono in anticipo i risultati del vaso del voto. Ti piace questa città, Evandro, dove la maggioranza ha retto giudizio e i cittadini sono informati perfettamente su quali siano le convinzioni prevalenti?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: E in questa città, con il voto dei due vasi, vincerebbe il retto giudizio, che mi vuole ad Atene? O il cattivo giudizio che mi vuole ostracizzare?
EVANDRO: Non è questa la condizione vera di Atene, Socrate. La condizione vera è che il cattivo giudizio è sempre in maggioranza e i cittadini si chiudono nei loro traffici e non sanno cosa pensano gli altri. Proprio tu mi dicesti all’inizio della discussione che i nostri ragionamenti devono riflettere la realtà delle cose, per evitare errori che siano dannosi per la città.
SOCRATE: E tu allora mi pregasti di farti introdurre le assunzioni. Non è così, Evandro?
EVANDRO: Sì.
SOCRATE: Posso introdurne una anch’io, Evandro?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: La mia assunzione è che la maggioranza abbia retto giudizio, e che tutta la città, o quasi, sappia che il vaso del voto sarebbe contro il mio ostracismo.
EVANDRO: E sia, Socrate.
SOCRATE: E chi vincerebbe? Facciamo che la predizione sia novanta a dieci contro l’ostracismo, come prima.
EVANDRO: Allora l’abbiamo già detto, Socrate.
SOCRATE: Ridillo, caro Evandro, ti prego.
EVANDRO: Vincerebbe il tuo ostracismo, Socrate, per l’eccesso di predizioni.
SOCRATE: Vincerebbe così il cattivo giudizio e sarei bandito da Atene. Mentre nel voto abituale, che ha solo il vaso del voto, vincerebbe il retto giudizio, che vuole che resti. Cosa ne concludi, Evandro?
EVANDRO: Tu cosa ne concludi, Socrate?
SOCRATE: Ne concludo che la tua legge può portare a decisioni cattive, anche quando in città prevalga il retto giudizio. E, esaminando questo caso, mi sembra che la tua legge per sua natura favorisca chi è in minoranza, e non chi ha retto giudizio, quando la minoranza sia informata di chi vince il vaso del voto.
EVANDRO: Io ne concludo invece che la legge è imperfetta, se la perfezione richiede che il retto giudizio vinca in ogni circostanza. Ma lo scopo della legge è solo di fare vincere il retto giudizio più spesso di quanto capiti con il voto abituale, e soprattutto nei casi che accadono davvero, Socrate.
SOCRATE: Ma, Evandro, il caso in cui il retto giudizio è in maggioranza e la città è ben informata sulle opinioni prevalenti, non è il migliore? Non è quello che la tua legge vuole propiziare? Cosa dobbiamo dire di una legge che cessa di portare beneficio proprio nelle circostanze che deve produrre?
EVANDRO: Non è il caso migliore, Socrate. Il caso migliore è cento cittadini con retto giudizio, e nessuno con cattivo giudizio.
SOCRATE: In questo caso non servirebbe un voto, mio Evandro.
EVANDRO: Va bene, Socrate. Ma, dunque, ti chiedo, vuoi o non vuoi presentare questa legge?
SOCRATE: Non lo so, amico mio, siamo ancora all’inizio della nostra discussione.
EVANDRO: All’inizio?
SOCRATE: Siamo giunti nel luogo dove avevi promesso di portarmi. Ora è il tempo di esaminare se questo luogo sia reale o un’opera della nostra immaginazione. Ci sono tutte le assunzioni che avevamo fatto, che i cittadini si dividono fra coloro che hanno retto giudizio e coloro che ce l’hanno cattivo, e che i secondi possono superare i primi nel numero, e che la vittoria dei cittadini con cattivo giudizio è dannosa per la città. E infine che il retto giudizio di una questione si associa al conoscere le convinzioni degli altri, e che il cattivo giudizio si associa all’ignorarle. Forse, nel caso del mio ostracismo, abbiamo già violato quest’ultima assunzione, caro Evandro. Comunque, dobbiamo esaminarle tutte e stabilire se siano vere.
EVANDRO: Sì.
SOCRATE: Non mi avevi promesso, Evandro, che le avremmo esaminate una ad una?
EVANDRO: Sì, Socrate.
SOCRATE: Sei stremato, mio Evandro?
EVANDRO: No no, Socrate.
SOCRATE: Vuoi che le esaminiamo subito, o preferisci prima bere qualcosa? Evandro? Cosa c’è?
EVANDRO: Bevo qualcosa, Socrate.
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