Perché Via col vento merita di stare in un museo

La rete televisiva americana HBO ha annunciato qualche giorno fa di avere sospeso la programmazione di Via col vento, dopo le proteste anti-razziste provocate dall’assassinio di George Floyd. Via col vento – che raffigura padroni bianchi benevolenti e schiavi neri felici della loro condizione – è un “prodotto del suo tempo”, ha dichiarato la rete. HBO rimetterà il film in programmazione dopo avere preparato un’introduzione storica, per informare gli spettatori sulle condizioni reali degli schiavi americani prima della guerra di secessione.

Dopo questa decisione di HBO, in Italia è sorto un esercito di difensori di Via col vento, composto da giornalisti, utenti dei social network e politici. Sostengono – riporto le argomentazioni più frequenti che ho letto – che questa decisione è un’idiozia, una censura, il trionfo del politicamente corretto, che a questa stregua dovremmo smettere di leggere la Bibbia perché è piena di razzismo e maschilismo, che guardiamo Via col vento per la storia appassionante, i bei personaggi, i sentimenti romantici, non perché siamo razzisti, e infine che aggiungere un’introduzione storica al film significa trattarci come stupidi. Una nota politica italiana ha anche detto che Via col vento non è un film razzista perché Hattie McDaniel, che recitava il ruolo di Mami nel film, fu la prima attrice nera a vincere un premio Oscar.

La mia opinione: HBO ha ragione. Via col vento fa parte della cultura popolare, che non dovremmo confondere con i patrimoni eterni dell’umanità. La cultura popolare riflette le concezioni della società che la produce in una certa epoca. La cultura popolare si rinnova di continuo, man mano che queste concezioni cambiamo. A volte il rinnovamento è spontaneo: vecchi film e vecchi romanzi che sono immensamente popolari in una certa generazione sono dimenticati da quella successiva. Altre volte concezioni nuove e concezioni vecchie combattono fra loro ed occorre prendere una posizione. Via col vento fu girato ottant’anni fa. Abbiamo il diritto di discutere se riflette ancora i nostri valori o è invecchiato. Se la risposta è che Via col vento è invecchiato, è lecito rimuoverlo dalla programmazione televisiva corrente e collocarlo in un genere diverso di prodotti culturali.

Il problema di cosa fare con Via col vento è simile a quello di cosa fare delle statue degli schiavisti, razzisti e colonialisti che si ergono nelle piazze di tutto il mondo, compresi personaggi celebri che hanno qualche merito da vantare. A Minneapolis i manifestanti hanno abbattuto la statua di Cristoforo Colombo, a Londra hanno imbrattato quella di Winston Churchill. Gli attacchi alle statue per motivi culturali ci ricordano subito le statue del Buddha in Afghanistan, che i talebani distrussero con la dinamite. Ciò nonostante, se un personaggio storico ebbe convinzioni che si oppongono alle nostre, o compì azioni che disapproviamo, la sua statua non dovrebbe stare a troneggiare in una piazza. Non è il posto giusto. La piazza è uno spazio civico, vissuto tutti i giorni dalla comunità di oggi. Dobbiamo trasferire quella statua nei luoghi in cui si studia il passato – i musei, come ha proposto lo storico Simon Schama.

Un museo non è necessariamente un edificio. Possiamo “museizzare” un film mettendolo in una sezione storica della piattaforma di streaming o accompagnandolo da un’introduzione, come ha deciso HBO. L’introduzione non serve a educare gli spettatori, anche se temo che qualcuno potrebbe avere bisogno di sapere che gli schiavi americani non vivevano abitualmente nelle condizioni che Via col vento gli presenta. Serve come didascalia. È come la scritta a fianco della sedia in un museo di arte contemporanea, che vi informa che è un’installazione, non un arredo su cui potete sedervi. L’introduzione dirà agli spettatori che Via col vento è un’opera del passato, con valori che non abbiamo più, senza impedire loro di vedere il film. Non capisco a chi questa introduzione possa dare fastidio, tranne coloro che quei valori li hanno ancora.


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