Una cosa buona che tutti possiamo fare nella vita è dedicarci alle persone reali, quelle che ci circondano, e soprattutto quelle che ci vogliono bene, perché possiamo renderle felici o infelici a seconda di come ci comportiamo verso di loro. Se invece siamo soli, c’è un senso anche nel dedicarci alle persone immaginarie, come i figli che un giorno vorremmo avere o la compagna che ci piacerebbe incontrare.
I nostri sentimenti di depressione si attenuano quando ci dedichiamo a qualcuno. Se c’è una tragedia nell’essere soli, non consiste nel mancare di affetto, ma nel non avere nessuno cui darne. Quello che nell’egoista è un vizio di carattere – fare solo il proprio interesse – nella persona sola è una condizione esistenziale forzata. Dedicarci alle persone immaginarie ci permette di evaderla. Significa, per esempio, tenere in ordine la casa pensando che qualcuno potrebbe visitarla, provare a crescere nel lavoro per dare un reddito alla famiglia che avremo, o sforzarci di diventare una persona in gamba, e sincera, finché arrivi la fortunata che ci amerà.
Dedicarci alle persone immaginarie non è solo un modo di stare a galla. È improbabile che curi la depressione, perché l’affetto vero e i corpi delle persone hanno un potere su di noi che non possiamo ricreare con la mente. Dedicarci alle persone che non esistono può però darci una motivazione ad agire.
Le nostre azioni nascono dal mondo esterno, che è pieno di cose che ci parlano e ci invitano a manipolarle, e dalla nostra mente, dove in un certo senso siamo sempre soli. Lo capiamo sul lavoro. Possiamo fare parte di una squadra, che si riunisce, discute i problemi, commenta i fatti, ma alla fine la squadra affida un compito ad ognuno di noi. Quando lo svolgiamo nella nostra stanza i colleghi della squadra retrocedono a entità mentali. Diventano il ricordo delle parole che hanno detto, la fantasia delle parole che potrebbero dire. Tutte le persone sono immaginarie quando non sono fisicamente con noi. Perciò quelle che ci sono care ci mancano, che è il sentimento di insufficienza di averle soltanto nella nostra mente.
Quando agiamo, tranne nei casi lieti di piacere intrinseco dell’attività, tentiamo di piacere a persone che non sono con noi o di evitare che si arrabbino. Se facessimo uno studio scientifico, potremmo scoprire una relazione fra la motivazione nel lavoro e la potenza dell’immaginazione. I lavoratori seri potrebbero essere quelli che, per come funziona la loro mente, hanno un’immaginazione più chiara delle persone. I lavoratori pigri, quelli per cui le persone assenti sono solo pallidi fantasmi. Quando alle immagini mentali corrispondono persone vere la motivazione è più forte, se è vero che sono i corpi, la realtà, a produrre le nostre emozioni. Ma anche le persone meramente immaginarie – la compagna che incontreremo, i figli che avremo, i lettori dei nostri libri da scrivere, i passeggeri degli aerei che disegneremo, gli dei buoni che ci parleranno dopo la morte, forse anche le generazioni a venire cui dobbiamo lasciare il pianeta – possono spingerci a uscire da noi stessi e costruire qualcosa di buono nella vita.
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